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La lezione perduta

11 ottobre 2010

Nel tema dell’architettura residenziale, la Capitale ha sicuramente vissuto una floridissima stagione a cavallo degli anni del boom economico. Figure come Mario Ridolfi, Amedeo ed Ugo Luccichenti, Luigi Pellegrin, ma soprattutto Luigi Moretti (sull’opera del quale si è tenuta recentemente a Roma una splendida mostra nel nuovo Museo MAXXI di via Guido Reni) con le sue architetture sulle quali troneggia indiscussa la Casa del Girasole di viale Bruno Buozzi, hanno traghettato l’architettura residenziale romana dallo statico periodo pre-bellico, attraverso le privazioni della guerra, verso un periodo di sviluppo che fu sicuramente caotico ma anche pieno di vitale creatività.

La fine degli anni ’40 e tutti gli anni ’50 del Novecento hanno visto in Roma l’esplosione dei volumi edificati sull’onda dell’immigrazione dal Lazio e dalle regioni limitrofe, crescita insediativa che portò la città ad avere 1.651.700 abitanti nel 1951, ed addirittura 2.188.160 nel 1961, ben 600.000 in più di Milano.

Una serie di leggi ad hoc, come la Tupini del ’49 e la Aloisio del ’50, offrivano all’epoca diversi bonus a chi voleva costruire, a partire da mutui agevolati fino a diverse esenzioni sulle imposte. La terziarizzazione di Roma capitale fece sì che buona parte dei nuovi cittadini inurbati fossero appartenenti al ceto borghese, potenziale target dei costruttori di “palazzine”.

Questa richiesta di spazi vivibili non per forza minimali, così come la necessità di una maggiore attenzione ai particolari costruttivi e decorativi, contribuirono a creare spazio di manovra per quei progettisti che avevano impostato il loro impegno su una ricerca architettonica partita da basi ed esempi ben concreti e nemmeno troppo distanti (è il caso di citare il Terragni delle opere Milanesi anteguerra quali Casa Rustici a Milano o di Villa Bianca a Seveso); progettisti che hanno infatti prodotto delle costruzioni notevoli, in grado di caratterizzare un’epoca, come ci dimostrano anche i molti film di quegli anni, nei quali queste opere fungevano spesso da vera e propria quinta architettonica.

Questi esempi, testimonianze di una fusione tra quanto generato dal Movimento Moderno negli anni tra il 1920 e lo scoppio della seconda guerra mondiale, e la piacevolezza ed ariosità dei modi di abitare tipicamente italiani, non hanno però avuto il seguito che meritavano: negli anni che sono seguiti a questa fortunata fase, nelle realizzazioni edilizie non solo romane, ma un pò in tutta Italia, abbiamo assistito infatti alla sterile riproposizione di vacui stilemi neoclassici tratti dalla nostra enorme tradizione architettonica.

L’idea di fondo degli odierni costruttori, che si è rivelata purtroppo nemmeno troppo infondata, è che il cliente di questo nuovo genere di palazzina si sente rassicurato e soprattutto nobilitato dall’abitare in un fabbricato caricato con le brutte copie di quanto in epoche passate era decoro di palazzi nobiliari. Questo atteggiamento di base ha portato alla perdita di quella che è stata una delle migliori stagioni dell’architettura residenziale italiana.